Giorgia Meloni, con l’abilità di chi ha scalato una montagna per salire dalla Garbatella (quartiere popolare di Roma) a Montecitorio e poi a Palazzo Chigi, nella sua visita valdostana è passata dalla parte istituzionale a una di incontro con la popolazione durante la visita, pur rapida, alla Foire de la Saint-Ours, che si è dipanata nel cuore di Aosta. Molti i commenti entusiasti dei suoi fans locali, freddi e talvolta preoccupati i suoi competitori. Io penso che di fronte a visite ufficiali si debba sempre mantenere il rispetto istituzionale e l’aplomb e l’educazione necessari da protocollo. Meloni a Palazzo regionale ha preso la parola, prima della firma dell’accordo con la Valle sui fondi di coesione e dopo il discorso concreto, attorno problemi sul tavolo con lo Stato, pronunciato dql Presidente della Regione, Renzo Testolin. Discorso a braccio, quello del Presidente del Consiglio, in cui non ha risposto, come ho detto a caldo, a punti specifici. Ha lodato la nostra Regione per come utilizza i fondi comunitari e mi ha pure ringraziato, en passant, per il lavoro fatto con il Ministro per l’accordo poco dopo sottoscritto. Ha parlato - parallelo prevedibile - di come anche lei interpreti lo spirito identitario, riecheggiando un passaggio proprio del sulla difesa identitaria che il Presidente Testolin aveva fatto a beneficio ovviamente della comunità valdostana. Poi ha citato - e certo sfruttando il nostro genius loci perché nessuno viene in visita alla cieca - il principio di sussidiarietà per fondare la collaborazione fra Stato e Valle d’Aosta. Devo dire per onestà che il suo background politico e i suoi riferimenti culturali, desumibili dalla sua biografia, che esprime cioè radici nel neofascismo e in un nazionalismo senza se senza ma non ha nulla a che fare con le idee identitarie del pensiero autonomista valdostano. Così come evocare la sussidiarietà è discorso retorico se risulta senza una vera prospettiva federalista ed è il federalismo a fondare un nazionalismo valdostano che non è giacobino e considera i grandi nazionalismi come un avversario naturale. La sfida lanciata al Governo Meloni dalle Speciali nel chiedere riforme statutarie che rafforzino la loro autonomia sarà la prova del nove per capire se l’evocazione alla collaborazione sia stata null’altro che un esercizio retorico o una captatio benevolentiae per l’uditorio valdostano. Poi c’è stata per Meloni la visita nelle strade della Foire, dopo selfie “partitici” con i suoi di Fratelli d’Italia, presenti in loco come comprimari c’erano gli alleati del resto del centrodestra. Il codazzo ha avuto un buon successo di pubblico, essendo Meloni di certo un personaggio, scortato con cortesia da autorità valdostane. Saranno le urne negli anni a venire a dirci se il fiorire di selfie, abbracci e strette di mano e grida di sostegno significhino un feeling nascente oppure un entusiasmo da stampa rosa. Temo che qualche piaggeria eccessiva abbia mostrato un eccesso di conformismo locale di qualche noto in forma di inchino per la giovane leader (ormai a 47 anni si è giovani e lo dico a titolo di mia consolazione per i quasi miei vent’anni in più). Leo Longanesi ha scritto: “La nostra bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta: ho famiglia”. Meloni sta sfruttando al meglio questa sua stagione vincente ed è abbastanza esperta per sapere che gli italiani sono sempre più ondivaghi e molto rapidi nel cambiare idolo. Basta guardare quanto avvenuto nella politica italiana e quanti sono precipitati dalle stelle alle stalle. Ennio Flaiano sosteneva: “Una qualità degli italiani è quella di volare in soccorso dei vincitori”. Rincara la dose Cesare Marchi: “L’italiano sale sempre sul carro del vincitore, ma è prontissimo a scendere in corsa, se si accorge di avere sbagliato carro”.