Ogni tanto si scoprono cose divertenti, che ti sollevano con la loro leggerezza - come un palloncino che ti sfugge e se ne va via beffardo - da quella pesantezza quotidiana, che grava non poco sulla nostra schiena.
Racconta Eleonora Baldwin con molta arguzia su Gambero Rosso: “Da madrelingua inglese, mi sono sempre chiesta perché alcune parole, specie in ambito culinario, usano termini diversi. In particolare non capivo perché certi animali sono chiamati in un modo, e la loro carne, in un altro. Per esempio, la parola inglese per mucca è cow, ma in macelleria non si ordinano bistecche di cow, si usa beef. Il maiale in inglese si dice pig, ma la sua carne è pork, parola completamente diversa. La lista di differenze continua. Il motivo è dovuto alla dominazione francese”.
Interessante come le dominazioni - pensiamo anche ai Paesi che sono stati oggetto del colonialismo - abbiano questo risvolto linguistico, che entra nella comunità e resta come se fosse un cimelio archeologico.
Ancora la stessa autrice: ”Dopo la conquista nel 1066, l'Inghilterra è stata governata dai francesi per 300 anni. Durante la dominazione, i governanti parlavano la loro lingua, il francese, non l'inglese. Mentre gli animali mantennero i nomi inglesi, le loro carni, portate sulle tavole degli invasori, erano chiamate con i termini franco-normanni: boeuf per la carne bovina divenne pertanto beef, il francese porc (poi pork) era la carne del pig. La pecora in lingua inglese è sheep, ma la sua carne è mutton, perché deriva dal francese mouton. L'animale vitello che gli inglesi chiamano calf, quando è servito in tavola si chiama veal, dal francese veau. La parola inglese per cervo è deer, ma la sua carne è detta venison, dal francese antico venesoun. Persino il pollo ha subito questa particolarità: il volatile in inglese si chiama chicken e la gallina hen, ma in cucina si dice poultry, e deriva dal termine francese poule. Nel tempo questi termini sono poi stati adottati da tutto il resto della popolazione. Basti pensare che il primo dizionario inglese, pubblicato nel 1604, era un vocabolario bilingue in inglese e francese”.
Per capire i giri che fanno le parole, trasferendosi da una parte all’altra ricordo di aver letto che il 65% del vocabolario attuale inglese deriva dal latino, direttamente o indirettamente, molto attraverso il francese. L’inglese, forse non è così noto, ha incorporato molte voci latine anche nella loro forma originaria come bonus, campus “città universitaria”, focus, stadium. Pensiamo a parole come media, sponsor, audit o summit, che sono esemplari di una triangolazione fra latino, inglese e italiano. Con il paradosso di sentire iter che diventa nel parlare“àiter”, junior “giùnior”, sine die “sain dai”» e plus, ultra, super, iper, che vengono scambiati per anglicismi.
Ma torniamo a Gambero Rosso: “In certi casi le parole francesi sono usate senza alcuna modifica. Qualche esempio? In inglese il bar dove ci si siede all'aperto si chiama cafè. Il ristorante è restaurant, l'antipasto si chiama hors d'oeuvre. La salsa è sauce, la zuppa si dice soup (dalla radice francese soupe). La tavola si chiama table, la sedia chair (dalla radice francese chaise). Ma non finisce qui! Altre parole francesi nella lingua inglese sono casserole, cream, croissant, éclair, mayonnaise, meringue, mousse, omelette, quiche, sauce e soufflé. Quando si parla di cucina in inglese, il termine usato è anch'esso francese: cuisine. L'influenza dell'idioma francese su quello inglese è un tema affascinante”.
Verissimo e impressiona pensare alla logica secondo la quale nelle lingue non si butta via niente e a volte le parole tornano al punto di partenza, fatto un giro in altri Continenti.