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27 feb 2025

L’impronta di Fantozzi

di Luciano Caveri

Difficile far capire a mio figlio più piccolo, Alexis quattordicenne, che cosa sia stato per me l’irrompere prima in TV, poi coi libri e infine nei film di Paolo Villaggio, che gli ho fatto rivedere, almeno nelle prime pellicole.

Avevo più o meno la sua età, quando nel 1971 lessi il suo primo libro su Fantozzi, ma ne avevo una decina di anni quando ben prima, nel 1968, guardavo la trasmissione “Quelli della domenica” con un Villaggio trentacinquenne che, presentava al pubblico i personaggi di Fracchia, di Fantocci (poi reso Fantozzi) e del prof. Kranz.

La sua comicità strampalata fu rivoluzionaria e fece persino da ponte fra genitori e adolescenti, uniti stranamente nell’apprezzamento di un genere di far ridere che stupiva. Michele Masneri su Il Foglio ha scritto un lungo articolo che mi ha colpito e ne traggo qualche spunto.

Così esordisce e ha ragione: “Di Ugo Fantozzi ne nasce uno ogni secolo. Era il 27 marzo 1975 quando il film esordi in una nazione (ma allora si diceva "paese") massimamente fantozziana, che ancora però non sapeva d'esserlo. Il film fu subito un successo: sei miliardi di incasso al botteghino, recensioni mediamente entusiastiche ancorché con qualche sopracciglio alzato da sinistra (Tullio Kezich, sul Corriere, scrisse che Fantozzi era “una commedia all'italiana portata all'estremo, feroce e senza pietà, capace di cogliere le nevrosi dell'impiegato con uno sguardo che ricorda Chaplin e Gogol'")”.

Villaggio era stato impiegato in un’azienda di Genova e da lì, ricorda Masneri, trasse ispirazione: “Osservando la vita d'ufficio e i suoi colleghi, Villaggio sviluppò l'idea dell'italiano medio frustrato, servile e goffo, schiacciato dalla gerarchia aziendale e dalle ingiustizie quotidiane. Ma "Fantozzi" fu anche un caso peculiare di business model: dalla "stand up comedy" si direbbe oggi, ai giornali, ai libri, al cinema. Villaggio iniziò infatti a raccontare storie tragicomiche ispirate ai suoi anni da impiegato durante le serate nei cabaret genovesi. Il pubblico reagiva con entusiasmo al racconto di questo povero cristo umiliato dalla vita, e così il personaggio prese forma. Nel 1968, la rivista L'Europei pubblicò alcuni racconti di Villaggio, e poco dopo l'editore Rizzoli gli propose di raccoglierli in un libro. Nel 1971 uscì il primo libro della saga, che fu un successo clamoroso, con oltre un milione di copie vendute. Il linguaggio inventato da Villaggio, fatto di iperboli, formule burocratiche e termini grotteschi, contribuì a rendere il personaggio unico e immediatamente riconoscibile. Il passaggio al cinema avvenne cinquant'anni fa nel 1975, con il film, diretto da Luciano Salce. Villaggio, che inizialmente voleva affidare la parte a un altro attore, fu convinto a interpretarlo lui stesso. L'autore passo dopo passo "diventa” Fantozzi”.

L’influenza sul linguaggio giovanile, che ormai canuti e stanchi usiamo ancora oggi noi di quelle generazioni fu enorme. Ancora l’articolo: “Questa voce fuori campo dall'accento genovese diffondeva termini che poi sarebbero diventati proverbiali: da "com'è umano lei" al "megadirettore galattico" alla "boiata pazzesca" sono ormai parte del linguaggio quotidiano italiano, spesso usati per descrivere situazioni assurde, ingiuste o grottesche. Il "cineforum" evoca sempre visioni coatte per colpa di fanatici cinefili, e quando si inciampa nel mon-taggio, questo è sempre "analogico". Ma anche “Calboni", ”la figlia di Fantozzi", la contessa Serbelloni Mazzanti, il maestro Canello, il Duca conte sono personaggi della commedia umana fantozziana che ritroviamo nella vita di tutti i giorni. Certo, il cinema dell'epoca poteva contare anche su caratteristi strepitosi, pescati chissà dove, che davano spessore a questi personaggi. Il Duca conte Semenzara, per esempio, quello maniaco del gioco d'azzardo che si porta un impiegato ogni anno a Montecarlo, regolarmente sorteggiato, era interpretato da Antonino Faà di Bruno, un nobile piemontese che era stato militare di carriera fino a raggiungere il grado di generale, e una volta in pensione si mise a fare delle particine nel cinema”.

Cosa ne sarebbe oggi di veri personaggi? Masmeri commenta con arguzia: “Oggi peraltro dei nuovi Fantozzi e Filini direbbero i loro "dichi", "batti prima lei" , non più al tennis ma al circolo del padel dove si sarebbero iscritti pagando a rate col nuovo sistema Scalapay (ma Filini investe anche in criptovalute). Dopo la pandemia, Fantozzi lavora da casa, ma con orari flessibili che in realtà significano 24 ore su 24. Il suo capo gli scrive su Whatsapp a mezzanotte, mentre la moglie Pina sta seguendo la beauty routine dell'estetista Cinica online. Durante una call su Zoom, dimentica di disattivare la webcam e viene visto in mutande dal Mega direttore con fondale finto di Dubai (ma in realtà a Sesto San Giovanni, perché oggi anche il Mega direttore è impoverito). Fantozzi e Filini parlerebbero poi inglese, anzi il milanenglish delle "call", della "mission", della "vision", della traduzione sgangherata per darsi un tono, per cui oggi "coerente" è diventato "consistente", che andrebbe bene per una zuppa o un bonifico, mentre il riferimento è la "reference" negli annunci del treno è "la toilet", proprio all'americana. Il ragionier Fonelli dell'ufficio Sinistri collega di Fantozzi non sarebbe più un "caro impiegato" ma "ceo" (parola che non saprebbe pronunciare, quindi "sio presso se stesso"), che fa le call nel vagone del Frecciarossa, freelance a partita Iva e abita in zona "South of Prada" con altri sette nello scantinato che però chiama coliving”.

Così è!