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09 mar 2025

L’epoca che inquieta

di Luciano Caveri

Molte, forse troppe volte, ho espresso qui la mia fiducia nell’ottimismo come stato d’animo.

È una specie di impronta consolatoria. Viene in mente quando da bambino si finiva nel letto malato e la mamma ti tranquillizzava con una sorta di affettuoso esorcismo contro i dolori: “Stai tranquillo, che passa!”.

L’umanità ha passato momenti terribili e forse a far vedere un filo di luce anche nei momenti più terribili è stato proprio questo: la capacità di vedere un appiglio con cui continuare la salita.

Eppure ci sono momenti come questi che ti chiedi cosa avverrà, che cosa sarà.

Ero a cena, l’altra sera, coi miei tre figli, due ormai adulti e un adolescente e, la sera nel letto, come capita quando si hanno dei pensieri, non riuscivo a prendere sonno. Pensavo a cosa li aspetta in questo mondo sempre più sghembo e come sono stato fortunato ad attraversare decenni in cui orrori e mostri della Storia sono stati sempre, alla fine, distanti.

Ora una strisciante melma minaccia molti valori e pensi appunto a che cosa aspetti che ha iniziato a dispiegare la propria vita.

Leggo così, per caso in una logica di continuità di pensieri, l’editoriale di Barbara Stefanelli, direttrice di Sette. Scrive: “Abbiamo sempre pensato che i diritti non avrebbero subito arretramenti. Potevano mutare e rischiare di perdere temporaneamente terreno, si, magari nella stretta di una pandemia. Ma la spinta riformista - questa la convinzione diffusa, da tre generazioni almeno - sarebbe risbucata fuori dal tunnel. Per portarci "avanti"”.

Vero, centrato: sono fra quelli e mi ci riconosco e forse per questo oggi sono preoccupato se non stralunato.

Ancora l’articolo: “Karl Popper ci ha spiegato che le libertà non sono statiche, che vanno osservate e che bisogna tenere a bada la tolleranza degli intolleranti. Ok, niente è scontato: ma chi avrebbe pronosticato una contrazione improvvisa? E ancora. Abbiamo sempre pensato che "il cattivo" delle situazioni, di quelle globali in particolare, avrebbe finito per pagarla in un macrocosmo ordinato nelle Nazioni Unite e puntellato dalle Corti internazionali. L'idea che un invasore possa invece sedere al tavolo della pace e dare carte & cartine, spalleggiato, riverito, ci pareva appartenere a uno scenario superato per sempre. In fondo, persino nei classici letterari (astenersi horror e distopie) il villain ha come orizzonte la sua tragedia o come minimo l'esilio dal copione collettivo a favore degli eroi”.

Già, siamo stati opportunamente imbottiti e protetti dal cattivo che, alla fine, la paga e resta sempre questo spiraglio da agognare. Anche dal peggio del peggio, che striscia verso di noi, come una nuvola velenosa.

Stefanelli incalza: “Abbiamo sempre pensato, infine, che i sistemi di welfare e le strategie dell'economia sociale di mercato sarebbero andati a temperare gli eccessi del capitalismo. Per il bene comune. Perché è giusto, certo, ma anche perché, a lungo termine, conviene a tutti poiché smussa gli attriti ingestibili e allontana il rischio dell'autodistruzione.

In sintesi, siamo cresciuti - ci siamo plasmati - abbracciati all'albero del progresso. Con stagioni critiche, crisi personali e nazionali, ma radici ritenute più profonde e potenti dei venti che squassano la chioma.

La generazione uscita silenziosa dalla Seconda guerra mondiale e poi i Boomer, chiassosi protagonisti del '68, seguiti dai mansueti X (i nati tra il 1965 e il 1980), hanno spinto le società occidentali a crederci. Che sarebbe andato tutto bene, che se le cose cambiano è per il meglio. Alla base di questa impostazione è facile riconoscere "il format" della cultura giudaico cristiana per cui Dio sposta le montagne e apre i mari, moltiplica il pane e con un solo gesto rialza i figli perduti”.

Ecco: il riscatto. L’happy and. La punizione del cattivo e il buono che risolve le cose. Poi, invece è d’improvviso tutto sembra rovesciarsi e l’ottimismo si incrina.

Così la direttrice condivide un dolore che ci accomuna: “Quando è arrivato il momento degli illuministi, luce su luce, la nostra predisposizione all'ottimismo si è esaltata attraverso la fede nella scienza, che ha promesso di consegnare numeri e segni nuovi alla ricerca di verità e di soluzioni.

E in più, lo ha scritto Simon Kuper sul Financial Times rievocando una convinzione napoleonica, c'è il fatto che le esperienze vissute a 20 anni determinano come tu interpreti il presente e guardi al futuro. Se hai visto cadere il Muro di Berlino e uscire di prigione Nelson Mandela, mai avresti immaginato che il primo presidente afroamericano della Storia e il suo yes we can -«Ce la facciamo» - si sarebbero presto rivelati una parentesi chiusa”.

Ognuno può dire la sua e dire quali siano stati i passi decisivi e la visione rosea di quel che ci spettava nel mondo di idee che ci siamo costruiti e che ora si è fatto fragile e impaurisce.

Così si chiude l’editoriale che fa pensare: “Non è dunque così strano se ora ci sentiamo spaesati, deprivati, spaventati, anche cupi. E stata forse un'illusione e tocca a noi, proprio a noi, vederne la fine dopo otto decenni di pace nonché di tensione positiva verso più libertà e più giustizia - pur tra mancanze, errori, colpe gravi? E la causa di questo spasmo doloroso discende, in parte, da quella digitalizzazione dell'universo che - in origine - sembrava offrire una moltiplicazione degli spazi e del riconoscimento istantaneo tra persone lontanissime sulle mappe della geografia analogica? Ogni giorno, ricordano Paolo Benanti e Sebastiano Maffettone, 6 miliardi di individui accedono al web mentre poche piattaforme detengono il controllo del sistema, attraverso software e algoritmi. Invece di una base brulicante di possibilità all'infinito, si è alzata una piramide dominata da un'oligarchia capace di interferenze all'infinito”.

Ecco il briciolo di speranza, che forse è illusione: “La verità è forse che, radunati disordinatamente sotto l'arco dell'ottimismo occidentale, sogniamo di sentire il sibilo di un'altra freccia nel tempo: di nuovo in avanti, oltre questo inverno. Dubitiamo che le Borse possano assecondare il caos; ci auguriamo che le aziende non tentate dal licenziamento di equità e inclusione continuino a macinare redditività; restiamo convinti che la transizione ecologica, pur rallentando, rinfrescherà l'aria e che ciascuno, respirando, lo sentirà. Soprattutto, siamo pronti a scommettere che le famiglie determinate a restare aperte, a non rintanarsi nella pandemia della paura dopo la paura della pandemia, sapranno rinnovare la magia del loro equilibrio sul mondo in bilico”.

Chissà…