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17 mar 2025

Ventotene e Chivasso

di Luciano Caveri

Amo certi vecchi documenti federalisti, scritti in periodi storici in cui la loro scrittura significava già a da sola gravi rischi per chi li redigeva.

Non a caso la magistrale Dichiarazione di Chivasso sui popoli alpini del 1943 ebbe una parte preparatoria celata per evidenti pericoli che le autorità fasciste scoprissero il lavorio. Il giorno in cui venne varata la gran parte degli autori, valdostani e valdesi, si riunirono come dei carbonari nella cittadina piemontese. Nella Dichiarazione emerge l’idea di un’Italia federale inserita in un’idea più ampia di un’Europa federale, la difesa delle minoranze linguistiche e la specificità dei problemi della montagna. Temi attualissimi.

Un po’ diverso Il Manifesto di Ventotene, documento redatto nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e, in parte, Eugenio Colorni, gli autori non erano liberi, perché già confinati sull’isola di Ventotene dal regime fascista. È considerato uno dei testi fondativi dell’integrazione europea, in quanto propone la creazione di un’Europa federale per prevenire il ripetersi di guerre tra gli Stati nazionali. Anch’essi temi da prima pagina.

Si tratta di scritti di nicchia, più il primo del secondo, letti e coltivati da chi, come me, crede nel federalismo, il grande perdente nella storia istituzionale italiana, sin dagli esordi dell’Unità d’Italia e pure a livello comunitario le cose non vanno bene, essendo l’Unione europea saldamente nelle mani degli Stati.

Eppure la piazza europeista di sabato a Roma, voluta dal giornalista e scrittore Michele Serra, ha utilizzato slogan federalisti. Il giornale La Repubblica ha regalato ai suoi lettori proprio il documento di Ventotene, cosicché Corrado Augias, grande personalità, si è spinto a parlare della manifestazione come di una “nuova Ventotene”.

Basta rileggersi l’elenco dei partecipanti - partiti, organizzazioni le più varie e personalità eterogenee - per dire che quello di Augias è stato un puro esercizio retorico, vista la presenza nella folla di statalisti e giacobini impenitenti e di una larga massa di persone che non hanno nel loro background neppure delle tracce del pensiero federalista.

Quel che sempre mi preoccupa - al di là del fatto, sia chiaro, che rispetto a pieno la buona volontà degli organizzatori - è proprio il fatto che queste grandi kermesse non solo rischiano di essere dei vuoti a perdere, ma proprio l’evocazione simbolica di Ventotene di oltre 80 anni fa rischia di essere un esercizio passatista.

Mi spiego meglio: se leggete Ventotene, documento mirabile nella sua costruzione e nella ricchezza di contenuti che rispecchiano lo spessore culturale dei suoi autori, la società che viene rappresentata è quella di allora e certe visioni profetiche appartengono comunque a persone ancorate in quella generazione. Tuttavia molti passaggi sono davvero molto invecchiati.

Intendiamoci: lo stesso capita con la Dichiarazione di Chivasso ed è normale che questo sia avvenuto. In più è stata avvolta nel tempo da iperboli retoriche di persone che in certi casi neppure l’avevano letta, ma l’hanno usata come una specie di feticcio.

Giuro di aver partecipato a convegni in cui certi politici leggevano documenti scritti chissà da chi e se seguivano dibattiti sul tema cadevano in una triste catatonia.

Anche quel documento che amo, com’è normale che sia, ha la forza di un monumento di idee, ma ovviamente paga il peso dell’età e delle enormi trasformazioni avvenute nel tempo.

Quindi, come Ventotene, sono radici o preferite semi che mantengono tutta la loro grandezza, ma le cose evolvono. Se la politica diventa una pratica museale perde il dinamismo, che serve per essere adatti alle sfide di oggi, pur nella consapevolezza essenziale della Storia.