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30 mar 2025

Pars destruens e pars costruens

di Luciano Caveri

I momenti che viviamo non sono facili e non indulgo al pessimismo, che è un sentimento che somiglia alle cause che creano lo stallo negli aerei che precipitano al suolo.

Eppure ci sono situazioni che mi irritano e che trovo abbiano accentuato comportamenti che ci sono da sempre, ma che ora si stanno pericolosamente allargando nel piccolo della nostra vita quotidiana sino a salire ad argomenti di vasta portata.

Mi capita di adoperare, non per vezzo linguistico con il famoso “latinorum” di chi abbia una cultura prevalentemente umanistica, le due espressioni pars destruens e pars costruens.

Pars destruens parte distruttiva indica null’altro che la fase in cui si mettono in discussione e si smantellano idee, teorie o argomentazioni esistenti, evidenziandone i limiti o le contraddizioni.

Mi piace questo esercizio, che non è solo patrimonio - come dirò - del pensiero filosofico, da cui origina. Ma si trasferisce tout court in quella politica, cui ho dedicato larga parte della mia vita.

Convinto, però, essendone sempre più certo, che questo esercizio salutare - che spezza convinzioni e tabù che spesso ingessano le cose - finirebbe per essere un esercizio sterile. Specie se sulla tabula rasa non si costruisse qualcosa di nuovo.

Così spunta - per chi non si limiti all’esercizio distruttivo- la pars costruens (parte costruttiva) è cioè il momento essenziale in cui si propongono nuove idee o soluzioni per sostituire ciò che è stato criticato nella pars destruens.

Sembra un fatto elementare, che segue un fil rouge nella storia del pensiero che da Bacone, poi da Cartesio,, attraverso Popper Habermas e tanti altri arriva alla conclusione terra a terra che - come diceva uno slogan protestatario spesso solo velleitario - era: dalla protesta alla proposta. Vale a dire: trasformare l’energia del dissenso e della critica in un progetto concreto di cambiamento o quantomeno di aggiustamento di quanto si ritiene inadatto o inopportuno.

Metodo adoperabile a tutti i livelli e che obbliga a far funzionare il cervello e a non fermarsi alla metà dell’opera. Penso a quanta perdita di tempo ci sia in certi atteggiamenti pratici con due esempi concreti.

Un primo riguarda il cambiamento climatico in corso con accelerazioni inquietanti. Mettiamo da parte chi non ci crede: sono zucche vuote da cui non si cava niente. Resta lo straordinario armamentario di chi è diventato protagonista della parte distruttiva: persone che accentuano il fenomeno, facendolo diventare ansia e persino la vulgata popolare che ormai tutto è perduto. La parte costruens prenda atto delle preoccupazioni legittime e fondate e si domanda e risponde alla domanda: che fare? Scelte politiche ce ne sono e sono ormai note. Le politiche di adattamento ormai prendono atto di ritardi ed omissioni ai livelli decisionali più alti, da cui devono arrivare risposte e misure su cui si prende tempo o persino si arretra. La parte propositiva è avere misure concrete di contrasto e di adattamento: ad esempio sulle Alpi o questo avverrà o saremo travolti. Dalla predicazione alla concretezza.

Secondo esempio: un mondo di adolescenti vittime degli strumenti digitali, che portano a asocialità e lobotozzazione, creando generazioni senza esatti punti di riferimento e certo il proibizionismo sarebbe risposta cieca. Ecco che bisogna impegnarsi, fatta la diagnosi, su come curare, costruendo risposte, al posto delle legittime preoccupazioni e lamentazioni.

Si tratta evidentemente di scoprire l’acqua calda, ma noto che queste evidenze non sono così diffuse.