Ci sono periodi in cui si è come travolti dalle cose da fare e sembra non esserci spazio per coltivare i propri pensieri. Ci pensavo in queste ore, così affannato da dirmi: fermati un attimo e così mi sono messo a lambiccarmi, forse inutilmente. Così annoto oggi pensieri in libertà in questo mio scrivere quotidiano, che mi consente la ginnastica mentale nel passare di palo in frasca.
Ci si sostiene vicendevolmente con i propri coetanei o giù di li sugli aspetti positivi dell’invecchiamento.
Lo si fa nella banalità quotidiana con frasi di circostanza sul “come ti trovo bene” o con discorsi ben più strutturati, quando - specie con gli amici - si ricostruiscono mondi vissuti sul filo sottile della nostalgia.
Questa capita anche nella propria solitudine, appigliandosi a qualche avvenimento che torna su dal passato e chissà in quale parte del tuo cervello erano sepolti un episodio, una persona, una circostanza.
D’altra parte, con franchezza, quale sarebbe l’alternativa a diventare un possessore di un patrimonio di cose fatte? Cinicamente già l’esserci è positivo, se si pensa a chi si è lasciato per strada. Quindi, evviva la vita vissuta!
Spesso, in questo senso, mi capita di occuparmi di una triste contabilità, quando in varie circostanze constato che quella persona o quell’altra non c’è più e ne serbo memoria o constato talvolta una dolorosa assenza.
È come se in un album piano piano sparissero le figurine e restasse solo il vuoto del distacco.
Ecco, i ricordi.
Forse è questo il punto a difesa dell’invecchiamento, che non ha molti altri punti a suo favore.
Poiché mi perdo spesso nell’aneddotica fatta di episodi accumulati nel mio passato, credo che alla fine questa storia dei ricordi sia bene coltivarla.
Arrivano d’improvviso come flash o per chissà quale collegamento e ricordano non sempre solo il bene, anche disagi, incertezze e pure dolori.
Scriveva Italo Calvino: “Anche ricordare il male può essere un piacere quando il male è mescolato non dico al bene ma al vario, al mutevole, al movimentato, insomma a quello che posso pure chiamare il bene e che è il piacere di vedere le cose a distanza e di raccontarle come ciò che è passato”.
Personalmente mi riconosco in una frase saggia nella sua semplicità del grande Mario Rigoni Stern: “"I ricordi sono come il vino che decanta dentro la bottiglia: rimangono limpidi e il torbido resta sul fondo. Non bisogna agitarla, la bottiglia”.
Resta imbattibile il biscotto di Marcel Proust: “Sento in me il trasalimento di qualcosa che si sposta, che vorrebbe salire, che si è disormeggiato da una grande profondità; non so cosa sia, ma sale, lentamente; avverto la resistenza e odo il rumore degli spazi percorsi…All’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di madeleine che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio….”.
Qualche giorno fa, ero nella casa dei miei genitori, che non ci sono più.
Forse non esiste nulla di più evocativo della propria casa natale, dove hai una larga parte di te.
Ci sono oggetti che per altri non avrebbero significato alcuno, talvolta rinvenuti in fondo ad un cassetto. Ci sono un libro, un foglio, l’enorme e ormai inutile cassettone colmo di fotografie, quadri alle pareti.
Quante cose servono a far tornare in superficie presenze, momenti, gioie e dolori.
In fondo, null’altro che la nostra vita, che è tua e che non ha eguali, come l’impronta delle dita.