Strano come le parole possano avere diverso significato. Pensate a cosa viene in mente ad un valdostano se si parla di rifugio.
Evoca almeno due cose.
La prima più storicizzata ed è un edificio che tutti conoscono ad Aosta. Si tratta del Refuge Père Laurent, che oggi eroga servizi di tipo sanitario e socio-assistenziale ad anziani non più completamente autosufficienti, ma l’apertura della struttura risale al 1869 su iniziativa di Thomas Lachenal.
Era un frate cappuccino con il nome di Père Laurent, che fece un’importante carriera in Francia con ruoli in Vaticano, e fu lui a volere nella sua città natale questo "Refuge des Pauvres".
La seconda cosa che più in generale evoca è “rifugio” per indicare le strutture di alta montagna ha origini antiche e deriva dal latino refugium, che significa “luogo di riparo” o “ricovero”, da re-fugere (fuggire indietro, cercare riparo). La sua adozione per le strutture montane si inserisce in un contesto storico e culturale che risale al Medioevo, quando i termini “xenodochi”, “hospitia” o “hospitali” indicavano luoghi di accoglienza per pellegrini e viandanti che attraversavano passi alpini, spesso gestiti da ordini religiosi in punti strategici.
Come non pensare a San Bernardo di Aosta e ai due passi alpini, il Grande e il Piccolo, che portano il suo nome?
Il termine, legato alla scoperta delle Alpi e dell’alpinismo come attività sportiva, si è evoluto naturalmente nel linguaggio degli alpinisti e degli escursionisti a partire dalla fine del XVIII secolo, quando la montagna ha iniziato a essere scoperta e praticata.
Di conseguenza il “rifugio” è stato adottato per descrivere edifici destinati a offrire riparo e supporto in alta quota, distinguendoli dai più spartani “bivacchi” o “capanne”.
Oggi in Valle d’Aosta sono una cinquantina e mi riferisco ai rifugi presidiati, sempre più meta di un turismo che sale in quota, spesso lungo itinerari differenti dalle solite mete del turismo di massa.
Sono molte di più le strutture sulle montagne fra bivacchi fissi e posti tappa, con strutture che variano da quelle accessibili a famiglie ed escursionisti a quelle d’alta quota per alpinisti esperti.
Di questi tempi ho seguito la ricostruzione della Capanna Carrel sulla via italiana verso il Cervino e, guardandone la storia nelle successione di costruzioni, non ho potuto che apprezzare la profondità della storia dell’alpinismo. Sembra in effetti essere un insieme di vicende relativamente recenti, visto che la prima ascesa del Cervino avvenne il 14 luglio 1865, quando una spedizione britannico-elvetica guidata da Edward Whymper raggiunse la cima della montagna. Era l'ultima delle grandi montagne delle Alpi a non essere ancora stata scalata completamente.
Ma in realtà da allora le cose sono talmente cambiate nell’approccio verso le montagne da andare al di là del solo tempo trascorso e conta il senso complessivo delle novità succedutesi.
Purtroppo di questi tempi - e a dimostrazione di come la stessa parola muti a seconda degli scenari - con il termine rifugio vengono in mente le guerre.
Ricordo mia mamma, in fuga durante la guerra dalla Liguria da parenti vicini a Torino, che raccontava di come quando si avvinavano i bombardamenti si cercava la fuga in luoghi sotterranei come riparo.
Ormai da tempo, venendo ad oggi, seguono la tragedia ucraina con le popolazioni costrette a rifugiarsi (questo il verbo giusto) per rifugiarsi contro i violenti attacchi alle popolazioni civili dei russi.
Anche negli scontri fra israeliano e palestinesi c’è la necessità di ripararsi.
Con un’evidente differenza fra la capillare rete di rifugi sitterranei di Israele a beneficio dei cittadini e quelli nella Striscia di Gaza, ma non sono spazi ufficiali pensati per la popolazione civile. Si tratta di gallerie e tunnel militari costruiti principalmente da Hamas a proprio beneficio.
Rifugi come luogo di sosta, di partenza verso le vette, di gite gioiose. Rifugi come luogo di riparo, di paura e di costrizione.