Fa abbastanza sorridere, in certi passaggi del dibattito politico attuale, la ricerca delle origini di certe crisi della società e della politica stessa.
C’è chi se la piglia con il Sessantotto (anche in Valle d’Aosta c’è ancora in piena azione chi è figlio di quel tempo) e chi, con un grande balzo indietro, risale alla Rivoluzione francese come rottura di cui ancora oggi patiremmo delle conseguenze. Mi paiono evidenti esagerazioni e frutto di chi la Storia non la conosce.
Eppure, pur conoscendo gli orrori in coda alle speranze rivoluzionarie del 1789 che dimostrano i fantasmi che agitano utopie e ideali pieni di buone intenzioni, a me certi capisaldi suonano come moderni.
Penso alla triade Liberté, Égalité, Fraternité, che ha la sua origine storica e culturale durante la Rivoluzione Francese alla fine del XVIII secolo. È uno dei motti più celebri del pensiero politico e si è additata come dizione ufficiale della Repubblica Francese.
Sin dagli esordi della Rivoluzione Francese queste parole iniziarono ad impastare i tra di loro senza una formula fissa o in diversa combinazione.
Fu Maximilien Robespierre nel 1790, a esprimere la necessità di fondare la società sui principi di libertà, eguaglianza e fraternità. Di questi gruppi che lavoravano sul tema faceva parte anche il valdostano Guillaume Cerise, che si diceva fosse stato vicino al più estremista del tempo, quel Babeuf - considerato anticipatore del comunismo - che riteneva che i diritti formali dovessero includere una richiesta radicale di uguaglianza economica e sociale.
Per capire come le cose potessi andare, Cerise poi divenne Generale di Napoleone e Barone dell’Impero. Non proprio in linea con il giacobinismo giovanile…
Si dice che fu il giornalista Indro Montanelli ad aver scritto che “Si parte rivoluzionari e si diventa conservatori".
Quel che è certo è che durante il periodo del Terrore (1793–94), la fraternità fu spesso accantonata o ridotta a uno slogan retorico, mentre libertà ed eguaglianza venivano imposte con metodi tutt’altro che democratici.
A me la sottostimata fraternità piace ancora molto ed esprime il senso di solidarietà tra i cittadini. È il termine più “spirituale” (viste le radici indubitabilmente cristiane) e meno giuridico tra i tre principi del motto.
Ma proprio la parola “solidarietà” ha costretto all’angolo la “fraternità” anche nel mondo cattolico. Il che è abbastanza un paradosso, perché se è vero l’uso politico di "solidarietà" nasce dall’etica cristiana, si secolarizza con l’Illuminismo e si afferma pienamente nei movimenti sociali moderni attraverso i movimenti socialisti e opera, diventando un pilastro dell’idea di coesione sociale e giustizia.
Va comunque chiarito come “fraternità” sia un termine più ampio che si riferisce al sentimento di affetto e solidarietà tra persone, mentre "fratellanza" può riferirsi sia a questo sentimento che al legame specifico tra fratelli o a un'organizzazione basata su questo principio ed è il caso dei “fratelli” della Massoneria.
Tuttavia le due parole sono abbastanza intercambiabili. Ci pensavo in una sfera più intima rispetto a mio fratello Alberto, più vecchio di cinque anni e al rapporto fra noi, ispirato a un grande rispetto reciproco e direi, senza troppe smancerie, ad una reciproca presenza basata su affetti, ma anche reciproca considerazione.
Anche per questo la parola mi piace.