Ci sono questioni caldissime nel futuro della politica valdostana. Seguirò come spettatore certe vicende, che ritengo capitali e di cui conosco il percorso, così come se n’è discusso a Roma e a Bruxelles.
Penso alla nascita e allo sviluppo della società Compagnie Valdôtaine des Eaux, nata dopo una delicata operazione politico-finanziaria, in cui ho detto la mia alle radici della riacquisizione dello strategico settore idroelettrico, importante per l’economia valdostana.
Da tempo, dopo l’uscita della Madia della CVA, l’impresa si è ingrandita con la possibilità nell’intraprendere investimenti nel settore delle rinnovabili nel solare e nell’eolico, che mantengono l’anima green della società, controbilanciando i rischi di diminuzione delle produzioni da idroelettrico per le conseguenze del riscaldamento globale nel core business valdostano.
Una politica espansiva che ha una debolezza nel rischio che la possibile gara per le concessioni, che scadono nel 2029, possa vedere vincitori che privino la Valle di una risorsa che da pubblica diventi privata in mano a competitor distanti da una governance locale.
Sul tema su “Corriere economia” ha scritto Ferruccio De Bortoli in una polemica a distanza con chi sullo stesso giornale ha sul tema una visione fideistica delle politiche di concorrenza: “C’è una questione nazionale che racchiude in sé una quantità rilevante di temi economici e politici. Forse mai vi è stato un concentrato così potenzialmente esplosivo di questioni divisive. Ci sono di mezzo la transizione energetica, le bollette elettriche, la salvaguardia della concorrenza e, dulcis in fundo, le autonomie regionali con il centrodestra che, sull'argomento, ha posizioni variegate. Si tratta del rinnovo delle concessioni idroelettriche. Entro il 2029 saranno scadute — e in parte lo sono già — per 186%. Quasi tutto l'idroelettrico è installato nel Nord Italia (il 73%). L'Italia è il terzo Paese europeo per potenza idroelettrica disponibile (22,9 Gigawatt). Il valore annuo della produzione dell'intera filiera idroelettrica è di 37 miliardi di euro, di cui 19 di export. L'industria del settore coinvolge 150 tecnologie. L'Italia, per esempio, è leader storico nella produzione di turbine e ruote idrauliche. Secondo il decreto Bersani del 1999 le concessioni e gli impianti connessi dovrebbero essere messi tutte a gara”.
E più avanti: “Ma è anche vero — come è scritto in una ricerca presentata all’ultimo workshop Teha-Ambrosetti di Cernobbio — che l’Italia è l’unico Paese europeo che ha aperto il proprio idroelettrico nel mercato dell’energia. La durata delle concessioni (tra i 20 e i 40 anni) è tra le più basse in assoluto. In Francia arrivano a 75 anni. Nessun limite in Norvegia e Svezia.
Anche chi ama le liberalizzazioni — da sottolineare che vennero decise quando non si parlava ancora di transizione energetica — non vorrebbe fare la figura dell’ingenuo aprendo a gare con colossi stranieri, anche finanziari, fortemente competitivi grazie alle protezioni dei loro Paesi. Vi è poi un tema di sicurezza nazionale che, alla fine del secolo scorso, in una globalizzazione che sembrava inarrestabile, non si poneva nemmeno”.
I francesi, che di gare non vogliono sentirne parlare, oggi più che mai - ma anche gli altri Paesi europei evitano le gare - sbandierano giustamente la centralità della sovranità energetica!
Ancora De Bortoli alla fine dell’articolo: “Le opzioni di assegnazione delle concessioni a mercato sono essenzialmente tre: la gara con soli operatori privati, con società miste, il partenariato pubblico-privato, ciascuna con i propri limiti e le proprie controindicazioni. «Un’altra soluzione percorribile — spiega Guido Bortoni, presidente Cesi ed ex numero uno dell’Autorità dell’Energia — è una quarta via, ovvero la riassegnazione delle concessioni all’operatore uscente vincolata però alla presentazione di un piano straordinario di investimenti nella Regione concedente. Questo vorrebbe dire fino a 16 miliardi aggiuntivi di investimenti rispetto alle altre opzioni possibili con l’attuale normativa. Le Regioni godrebbero dei proventi da canoni, anche nei pochi casi in cui ora sono assenti. Vi è poi la possibilità di sperimentare, come si sta facendo per esempio in Piemonte, forme di project financing basati su investimenti che sgraverebbero la pubblica amministrazione dal lavoro di studio e di preparazione della documentazione tecnica, sbloccando velocemente gli investimenti». Quali sono gli ostacoli? Prima di tutto l’impegno che l’Italia ha preso, nell’ambito del Pnrr, di mettere le concessioni a gara. Potrebbe essere ricontrattato, come altri aspetti del Piano, anche perché la normativa comunitaria non proibisce formule alternative alla semplice gara”.
Per correttezza segnalo anche la tesi contraria espressa, con la solita pochezza dimostrata da Direttore de La Stampa (con copie in picchiata), da Massimo Giannini, su Affari&Finanza di Repubblica, che accusa gli operatori idroelettrici di essere peggio dei balneari, di "pompare acqua dalle reti e soldi dallo Stato". Incredibile parallelo da non classificato in prima elementare.
Ha ragione, viceversa, Il Sole 24 Ore quando scriveva saggiamente e in sintesi: “Se l’Italia dovesse, da sola, aprire il proprio mercato delle concessioni idroelettriche alla concorrenza straniera finirebbe per produrre una pericolosa asimmetria, con la conseguente possibile perdita di un asset strategico come il patrimonio idroelettrico italiano”.
Questa, anche per i valdostani, è una cruciale battaglia politica!